
In questo articolo vi elenchiamo tutti i casi in cui per l’Inps si rischia di andare in pensione a 71 anni invece che a 67. Alcune volte infatti 20 anni di contributi non sono affatto sufficienti. Attualmente i requisiti minimi per il pensionamento sono i 67 anni di età e i 20 anni di contributi.
Lo ha stabilito il Decreto MEF del 05/11/2019. Tuttavia c’è un dettaglio che non dovrebbe mai essere sottovalutato: non tutti i contributi sono sufficienti per raggiungere i sopracitati 20 anni. Del totale infatti almeno 5 devo essere effettivi, ovvero devono assolutamente rientrare nella contribuzione obbligatoria o volontaria.
Inps: i casi in cui la pensione è posticipata ai 71 anni di età
In realtà c’è un altro aspetto da tenere in considerazione e riguarda un cambiamento avvenuto nel 1996 che sostituisce il sistema retribuito in quello contribuito. Nella pratica coloro che hanno iniziato a lavorare prima di tale data, non sono sottoposti a ulteriori vincoli.
Sono proprio quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 che rischiano di andare in pensione a 71 anni invece che ha 67. E che rientrando nel sistema contributivo oltre ai 5 anni effettivi di contributi devono soddisfare un altro requisito fondamentale.
Nello specifico nel momento in cui accederanno all’età pensionistica dovranno aver maturato una pensione uguale a 1,5 volte l’assegno sociale. Un esempio? Nel 2020 corrisponde a 459,83 Euro, di conseguenza l’assegno del contribuente pensionante non dovrà essere più basso di 689,74 euro.
Ecco perché per i lavoratori che hanno un contratto part-time sarà molto più probabile andare in pensione a 71 anni. E per andarci a 67 quali sono le giuste condizioni? Ve le elenchiamo di seguito:
- dei 20 anni di contributi 5 devono essere effettivi
- 20 anni di contributi
- assegno del pensionante superiore a 689,74 Euro
Quello delle pensioni non è mai un argomento chiaro, vi lasciamo quindi a un altro aggiornamento recente: Pensioni, aumento nel 2021: tutte le ipotesi al vaglio
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